La più grande e corrotta democrazia del mondo: "

Pankaj Mishra, The Guardian, Gran Bretagna


Le rivelazioni di Wikileaks sull’India e lo scandalo delle licenze telefoniche sono la prova che dietro la liberalizzazione economica c’è il saccheggio delle risorse del paese.

Il prezzo del cibo non è più alla portata dei poveri. Le proteste contro la corruzione paralizzano da settimane il parlamento. Nel frattempo una serie di dispacci diplomatici statunitensi pubblicati da Wikileaks scredita una classe dirigente sfacciatamente falsa e venale. E il capo del governo, adorato da uomini d’affari e giornalisti stranieri, perde ogni autorità morale e diventa un’anatra zoppa.

Sembra la situazione in cui si trovavano Tunisia ed Egitto prima della rivoluzione, paesi a lungo privati di una vera rappresentanza politica e saccheggiati dagli agenti locali del capitalismo neoliberista. Il paese di cui parliamo invece è l’India. Le sue istituzioni, come ha evidenziato Wikileaks nei giorni scorsi, non sono più in grado di fare da barriera contro la rapacità e l’egoismo delle élite globalizzate. Molti dispacci non sono una novità per chi non si è bevuto la storiella della rising India propinata da uomini d’affari, politici e dal potere giornalistico che li sostiene.

Le prove che dietro la liberalizzazione economica si nascondeva il saccheggio su larga scala delle risorse del paese sono state sempre più numerose negli ultimi mesi. In particolare, a far intuire agli indiani qual è il rapporto tra potere economico e potere politico, è stato lo scandalo per corruzione nelle licenze di telefonia mobile, che avrebbe causato una perdita di 40 miliardi di dollari per l’erario. Perfino la stampa economica occidentale, di solito entusiasta delle imprese finanziarie in India, sembra turbata. All’inizio di quest’anno l’Economist si chiedeva: “Il capitalismo indiano sta diventando oligarchico?”. Una domanda con un’unica risposta possibile: “Ma va?”. Il Financial Times ha definito “predoni” gli esponenti delle dinastie imprenditoriali indiane.

I dettagli rivelati da Wikileaks lasciano senza fiato. Che dire dell’ex ministro che ha chiesto una grossa tangente alla Dow Chemical (ex Union Carbide), uscita indenne dall’incidente di Bhopal del 1984 grazie all’aiuto di alti funzionari statunitensi? I dispacci rivelano l’infiltrazione di uomini d’affari e funzionari statunitensi nella politica indiana esattamente come avviene in Pakistan. Nel 2008 un uomo vicino alla famiglia Nehru-Gandhi ha mostrato a un diplomatico statunitense due casse con 25 milioni di dollari in contanti: il denaro per convincere i parlamentari a votare a favore di un accordo nucleare tra India e Stati Uniti, preludio alla massiccia vendita di armi americane all’India. Ufficialmente contrari all’accordo nucleare, i leader del partito nazionalista indù Bjp hanno cercato di rassicurare i diplomatici americani sulle loro credenziali filostatunitensi arrivando a definire opportunistico il loro nazionalismo.

Un luogo sicuro per l’oligarchia

Ma nessuno esce ridimensionato da questa fuga di notizie più del primo ministro Manmohan Singh, ex dipendente della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, organizzazioni che hanno contribuito a rendere l’India un luogo sicuro per l’oligarchia. È noto che Singh nel 2006 ha rimosso il ministro del petrolio, Mani Shankar Aiyar, tra i principali promotori del progetto di un oleodotto Iran-Pakistan-India che non piaceva agli Stati Uniti.

Nel 2008, durante una visita alla Casa Bianca, rivolgendosi al presidente americano meno amato della storia, Singh ha fatto rabbrividire l’India dicendo: “Il popolo indiano la ama profondamente”(anche George Bush lo ha guardato sorpreso). Perfino i corrotti rappresentanti dell’apparato militare e spionistico pachistano sembrano avere più dignità di fronte alla corsa indiana a prostrarsi davanti agli Stati Uniti. Singh ha orchestrato la vergognosa resa della sovranità e della dignità nazionali.

Wikileaks ha in serbo molte altre rivelazioni. Sono giorni e notti di tensione per politici, imprenditori e giornalisti. Probabilmente si augurano che le cattive notizie siano sepolte dalle celebrazioni per la vittoria del campionato mondiale di cricket. L’incontenibile desiderio di potere e ricchezza di questa élite sovranazionale e la sua indifferenza nei confronti di chi soffre sono una patologia della globalizzazione economica. Egiziani e tunisini impareranno presto a loro spese che i governi democraticamente eletti non provano nemmeno ad affrontare questo male.

Traduzione di Stefano Valenti.

Internazionale, numero 893, 15 aprile 2011

Pankaj Mishra è uno scrittore indiano. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è La fine della sofferenza.

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