originariamente scritto per circerie.blogspot.com 6/10/06

*******attenzione rivela la trama e il finale!*************

Per caso, davanti ad un gran bel film: Water di Deepa Metha tratto dall'omonimo romanzo di Bapsi Sidhwa.
Il film di un’indiana candidata all’Oscar, candidata non per l'India ma per il Canada.
L’autrice è stata scomunicata nel suo paese, è stata minacciata di morte dai fondamentalisti hindu, tanto che la polizia ha dovuto sospendere le riprese del film, e le scene sono state per lo più girate in Sri Lanla. Il film è andato agli Oscar 2006 da solo, senza la regista, che è ben nascosta chissà dove.

“Water, racconta la difficile condizione della donna in India negli anni ’30, prima dell’ascesa del Mahatma Gandhi. Protagonista è la piccola Chuyia che, vedova all’età di appena 8 anni, viene abbandonata dalla propria famiglia in una casa che ospita donne nelle sue condizioni.

Infatuata dal mio primo viaggio in India dove vedevo tutti poveri ma felici, questo film mi ha inferto un colpo al cuore.
Come può consideraesi vedova una bambina di 8 anni? È usanza promettere in spose bambine piccolissime, addirittura farle sposare ed attendere un'età matura per la convivenza, anche con uomini più adulti. È questo il caso di Chuyia.
Cosa accade alle vedove? Devono vivere in un ospizio, sono a carico della cittadinanza o del fratello o del figlio. Obbligate a vestirsi di bianco, il colore del lutto e rasarsi i capelli, oggetto di desiderio.

“Tutte sono costrette a vivere come penitenti, con l’unica colpa di aver perso il marito, sono rasate, indossano semplici sari bianchi, non hanno diritto a parlare e possono mangiare una sola volta al giorno.”

Abbiamo incontrato una vedova a Jaisalmer ora che ci penso, la guida ce l’ha presentata come tale e ci ha spiegato la differenza degli abiti. Adesso sarà diverso, almeno in un’area turistica, emancipata e moderna. Nei villaggi magari…

Il film si apre sull’acqua, foglie di loto e tintinnio di cavigliere.
Acqua, “Water”, elemento femminile per eccellenza, il file rouge della sofferenza femminile. Otto anni sono pochi per capire cos’è una vedova e il perché di questo atteggiamento di favore. Abbandonata nella casa/ospizio le viene subito chiarito come funziona la gerarchia dalle coinquiline: la vecchia metressa, la ruvida che si rivelerà buona, la saggia zia che rimpiange i dolci della sua infanzia, il codazzo del greggie delle soggioggate dal sistema, la bella e giovane Kalayani seguace di Krisna.
Arriva quasi subito il protagonista maschile, bello intellettuale, seguace di Gandhi. Si innamora della giovane vedova che la metressa fa’ prostituire la notte per far mangiare a tutti riso e lenticchie una volta al giorno.
La storia è lenta, il ritmo è indiano. Il fiume, l’acqua sacra, le brocche, i monsoni, il brahamana delle vedove, il frocio ruffiano procacciatore di giovane carne.
Quando la vecchia zia muore, con l’accensione delle misera pira, inizia il dolore. Il giovane avvocato non s’arrende al suo amore e sotto un gigantesco, enorme, ramificato albero al Karnika gath di questa canonica città, dichiara il suo amore alla bella vedova prostituta. Karnika è il viticcio del loto, il fiore che nasce dal fango ed attraversa faticosamente acqua per cercare la luce, il simbolo dell’elevazione spirituale; colui che è candido e puro, l’essenza della bellezza e del divino.
Sotto quell’albero, al chiar di luna c’è un dialogo bellissimo, la giovane è molto devota ed è sconvolta di poter contradire la tradizione accettando, lei, vedova, l’amore del giovane e prezioso rampollo di brahamana. Lui le dice che ci sono cose buone e cose meno buone nella tradizione, non è da prendere tutto come la religine propone – Gandhi docet. Si pone però anche la domanda di trovare il limite, saper scegliere la strada. Come fare? A questo punto, è lei, analfabeta, ma piena di fede, che trova la risposta nel suo cuore. È ogni individuo a saper trovare la propria strada.
La fotografia del film è eccezionale, la luce è sempre radente e rivelatrice di giorno. Accende i sari bianchi delle vedeve e le bluse alla coreana, bianche enormi sopra le classiche braghe degli uomini. Le candele, la notte, intonano un coro vibrante in sinfonia con la luna piena dell’ekadasi.
Tutto sembra volgersi al meglio, se non ché il rispettato padre del nostro eroe, ha goduto della compagnia della nostra protagonista. Il figlio è sconcertato, disapprova il padre, ma quando trova la forza di andare avanti con le sue scelte, la nostra devota amica ha lasciato che il ciclo dell’acqua rimettesse in circolo la sua anima.
Qui il film guarda dentro il concetto di vittima. Io sono sempre stata attratta dalle vittime, a partire dagli ebrei e dal loro lasciarsi sterminare. Sento troppo forte il senso dell’ingiustizia da non poter concepire la non ribellione. Il film lo chiude Savitridevi, Didi per gli amici, la ruvida buona anche lei molto pia, nella quale l’accettazione dell’ingiustizia diventa pesante come commetterla. È stata lei che ha permesso alla Bella protagonista di uscire dall’Asrham/bordello, è stata lei che gli aperto la porta per uscire, è stata lei che ha consegnato le sue spoglie all’amato ritardatario. È da lui che sentirà parlare di Gandhi e del possibile avvento di un nuovo mondo, che elimini le imposture che screditano un modello di fede religiosa. Le regole si possono rinventare.
La bomba scoppia quando scopre che la bimba di otto anni è diventata la nuova vedova che porta i soldi in casa, carne fresca per i rispettabili brahamana. Non lo può accettare, recupera la creatura inerme e la culla tutta la notte sulla riva dell’acqua. Il flusso che lenisce i dolori. La mattina seguente, Gandhi è alla stazione per una preghiera con la comunità - inizia la marcia del sale!! - e lei si conduce lì, come sollevata da un vento salvifico. Gandhi dice – cogliete il senso, le parole precise non le ricordo, già piangevo a dirotto a questo punto – "la religione non è la verità, la verità è religione ed è ciascuno di noi".
Savitridevi rincorre il treno, piange e stringe la bambina, implora la brulicante multitudine di gente stipata su quel treno di prendere la bambina, di portarla lontano, solo lei e di salvarla, di regalargli una vita dignitosa, li implora, corre, corre e ragiunge il giovane liberale che coglie al volo la possibilità di far sbocciare un nuovo fiore, Chuyia e la sua nuova libertà.

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Nonstante il racconto si riferisca ad un epoca e ad un momento storico preciso, ancora oggi le donne indianesono vittime di violenza e discriminazione. In tutto il paese sono circa 34 milioni le vedove e 12 milioni si esse sono ospitate da istituti come quello del film" spiega Deepa Metha”.

Il mio amore per l’India è forte. Troppe cose indefinite mi attraggono ancora in questa nazione. C’è qualcosa oltre le immagini, oltre le tradizioni, è qualcosa che si percepisce con i sensi. Questo folle amore, però, non copre l’evidenza. Le ingiustizie, le disparità e le contraddizioni sono forti, è un Paese e una cultura viscerale, nel bene e nel male.



Per approfondire
da D Web, intervista alla regista
da Zabriskiepoint.net

I virgolettati sono tratti dalla presentazione del film fatta dal Atelier di Firenze