
Venti minuti e siamo di nuovo davanti alla porta, pronti a riprendere le jeep, senza bagagli e quindi in condizioni più comode. La città che attraversiamo, Vrindavan è molto più hindy di quello che abbiamo visto in Rajastan.
La sporcizia in terra è stratificata, il divario tra palazzine, abitazioni unifamiliari e tende è evidentissimo. Viuzze strette, auto di lusso e risciò a pedali. Le jeep se la districano per queste strade, l’autobus probabilmente non sarebbe riuscito. Arriviamo all’acqua, il primo contatto.
Costeggiamo il fiume, la Yamuna, al femminile, dato che in hindy i fiumi sono al femminili, che civiltà... lo sanno che l'acqua è "donna"!
Sadu e viandanti lungo il tragitto.
Arriviamo alla meta, Keshi Gath.


I loro sguardi non sono affatto cordiali e non lo nascondono.

Non tentano di venderci niente ne di essere gentili e sorridenti, per lo più uomini e bambini.
Non abbiamo il tempo per concretizzare che non gli stiamo simpatici, ci fiondiamo a bordo di due barche che ci faranno percorrere il tratto di fiume davanti al gath.
Sono sull’acqua, finalmente l’acqua, il grande flusso sacro. Ci sono quattro indiani a bordo che con il sudore della fronte e dei bicipiti, ci traghettano verso l’altra sponda, attraversano il fiume e ci portano davanti all’edificio.
È bellissimo, la luce del tramonto crea forte contrasto chiaroscurale e accende di calore la pietra ocra scuro.
Troviamo degli occidentali nell’acqua sull’altra sponda, russi… con gli indiani saranno gli unici superstiti alla bomba atomica con quegli anticorpi.


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