Stupendo il forte di Gwailor: color malva, con resti di maioliche azzurrin lungo gli spalti. E stupenda la visione della città, sotto, bianca, da far male agli occhi. Una città militare, pulita, epiena di caserma. "
da L'Odore dell'India di Pier Paolo Pasolini, 1979 Longanesi
Finalmente si avvista Gwailor ed è proprio come dice la guida - eh però! veritiera questa Routard -, cito: “la posizione più inespugnabile dell’India occidentale”.
È proprio così: un’increspatura della pianura merlata da alte torri e rafforzata da costruzioni, per una considerevole estensione.
Respiro aria di casa, sembra un insediamento da crinale del mio Appennino. La cosa che lo diffferenzia nettamente è che questa cresta nasce dal niente e dal niente è circondata. Inespugnabile.
L’autobus costeggia il fronte che Gwailor ci ha mostrato e gli arriva di fianco, da basso, passando per la città nuova, fatta di disarmonia. Il nostro ronzino penetra, con noi sopra, le mura dalla base e varchiamo la soglia di un’altra dimensione.
La strada arranca tortuosa in salita, tra costoloni di roccia gialla ocra, levigata, scolpita. È talmente stretta che non riusciamo a vedere cosa sbuca dalle pareti, figure, colossi, ma cosa sono?! Dopo, c’è da portare pazienza.
Scendiamo dal mezzo affaticato e il sole ci arriva diritto in testa, senza pietà. Aria però, tira aria. Vayu, il dio del vento ci tende la mano, una brezza costante ci permette di muoverci sotto il sole.
Il cielo è terso, azzurro. L’ombra definisce le volumetrie di questa abbandonata regale città. Come Fatehpur Sikri, anche all’origine di questa città, c’è una grazia ricevuta da un uomo. Suraj Sen, capo della comunità insediata qui vicino, afflitto dalla lebbra, si trovò a passare di qui in una giornata di caccia e dissetandosi al pozzo custodito da un eremita guarì dalle piaghe. Gwailor fù fondata come segno di riconoscenza e porta il nome dell’eremita.
Nel corso della storia fu sede delle maggiori dinastie succedutesi nei territori dell’India del nord, Rajput, Mogul fino agli Inglesi. Il palazzo del Maharaja, che ancora vi abita, è splendido, originale con le sue smaltature azzurre e gli elefanti riprodotti sul cornicione.
Non lo visiteremo, oggi è il compleanno del padrone e noi non siamo invitati alla festa.
Passeggiamo per l’estesa città, passando da diversi ambienti, ampi e abbandonati, da cortili immensi e vissuti da alberi giganti, saliamo per torrette ad incontrare il cielo, cielo e luce, luce e ombra.
Arriviamo fino al fronte opposto rispetto a quello che abbiamo visto giungendo a Gwailor e davanti a noi ancora una piatta vallata, niente altro. Torniamo all’autobus risalendo la strada che costeggia il fronte del palazzo con l’accesso principale con i suoi elefanti azzurri.
Da questo baluardo inespugnabile, traguardiamo la direzione della nostra prossima meta, due templi indù, detti Sas Bahu, della suocera e nuora, ma non ho capito bene perché…
È proprio così: un’increspatura della pianura merlata da alte torri e rafforzata da costruzioni, per una considerevole estensione.
Respiro aria di casa, sembra un insediamento da crinale del mio Appennino. La cosa che lo diffferenzia nettamente è che questa cresta nasce dal niente e dal niente è circondata. Inespugnabile.
L’autobus costeggia il fronte che Gwailor ci ha mostrato e gli arriva di fianco, da basso, passando per la città nuova, fatta di disarmonia. Il nostro ronzino penetra, con noi sopra, le mura dalla base e varchiamo la soglia di un’altra dimensione.
La strada arranca tortuosa in salita, tra costoloni di roccia gialla ocra, levigata, scolpita. È talmente stretta che non riusciamo a vedere cosa sbuca dalle pareti, figure, colossi, ma cosa sono?! Dopo, c’è da portare pazienza.
Scendiamo dal mezzo affaticato e il sole ci arriva diritto in testa, senza pietà. Aria però, tira aria. Vayu, il dio del vento ci tende la mano, una brezza costante ci permette di muoverci sotto il sole.
Il cielo è terso, azzurro. L’ombra definisce le volumetrie di questa abbandonata regale città. Come Fatehpur Sikri, anche all’origine di questa città, c’è una grazia ricevuta da un uomo. Suraj Sen, capo della comunità insediata qui vicino, afflitto dalla lebbra, si trovò a passare di qui in una giornata di caccia e dissetandosi al pozzo custodito da un eremita guarì dalle piaghe. Gwailor fù fondata come segno di riconoscenza e porta il nome dell’eremita.
Nel corso della storia fu sede delle maggiori dinastie succedutesi nei territori dell’India del nord, Rajput, Mogul fino agli Inglesi. Il palazzo del Maharaja, che ancora vi abita, è splendido, originale con le sue smaltature azzurre e gli elefanti riprodotti sul cornicione.
Non lo visiteremo, oggi è il compleanno del padrone e noi non siamo invitati alla festa.
Passeggiamo per l’estesa città, passando da diversi ambienti, ampi e abbandonati, da cortili immensi e vissuti da alberi giganti, saliamo per torrette ad incontrare il cielo, cielo e luce, luce e ombra.
Arriviamo fino al fronte opposto rispetto a quello che abbiamo visto giungendo a Gwailor e davanti a noi ancora una piatta vallata, niente altro. Torniamo all’autobus risalendo la strada che costeggia il fronte del palazzo con l’accesso principale con i suoi elefanti azzurri.
Da questo baluardo inespugnabile, traguardiamo la direzione della nostra prossima meta, due templi indù, detti Sas Bahu, della suocera e nuora, ma non ho capito bene perché…
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