Immagine di Nettare in un setaccio

Un libro diverso da soliti che mi rimangono attaccati alle mani.
Rispetto ad altri che ho letto in precedenza - Cento sfumature di bianco, Padrona Amante, Cuccette per signora - connotati da una punta di frivolo sapore bolliwodiano, questo è diverso.
La storia è semplice e banale, quella di una contadina in una imprecisata campagna ed epoca indiana, storia dalla toccante elementarità.
Lei, ultima figlia di una numerosa famiglia - e quindi con scarsa dote - va in sposa ad un uomo che non possiede nulla "povero di tutto tranne che di amore". Vivranno felici, in attesa di figli che arriveranno tardi, e quando arriveranno non vorranno lavorare la terra, fonte di gioie e dolori. Su di loro l'ombra di un medico bianco che va e che viene, facendo del bene e poi scomparendo per lunghi periodi.

La storia è banale e la riflessione che innesca anche, seppur mai troppo necessaria.
In alcune parti del mondo, si vive veramente con poco, una capanna di fango e paglia, una manciata di riso.
Immutati però, i sentimenti, che si viva di stenti o si navighi nell'oro.
Il dolore per la mancanza o la perdita dei figli è lo stesso, si debba andare in Turchia per la procreazione assista o si preghi una divinità portandogli gelsomino.
L'invidia tra gli esseri umani, tra le donne, è uguale, che si desideri ricchezze o una manciata di cibo.
La paura, immobilizza dai grandi mercati dell'economia mondiale al baratto di poco oggetti al mercato del villaggio.
L'amore e il rispetto che l'essere umano ha per se e i suoi simili, porta sempre ad un lieto fine, anche dopo un travagliato viaggio di sofferenze.
È questo che dice questo libro, banalmente, semplicemente: essere buoni da sempre i suoi frutti, magari non sembra, l'importante è crederci.

Scritto originariamente per Circerie il 9 novembre