Ripartiamo in autobus verso Fatehpur Sikri, la città della vittoria.
A sentire il tour leader, questo luogo ha la stessa portata, a livello d’impatto emotivo, del Taj Mahal. Non ci posso credere! Mi voglion proprio far prendere un collasso?!
Fatehpur Sikri è una città di fondazione, voluta da Akbar, il raffinato imperatore Moghul, con l’intento di materializzare il suo sogno di città ideale, applicando alla lettera i dettami religiosi. L’induismo, in alcuni dei libri sacri definisce precisi dettami per le realizzazioni urbane, come mi piacerebbe dargli un’occhiata! (Oh ma qualcosa che mi faccia schifo mai?!)
All’ingresso siamo “accolti” dai venditori, ormai ne siamo assuefatti, facciamo i biglietti ed entriamo in un primo ambiente, un portico enorme con un giardino al centro, di un verde iridescente, quasi finto. Tutto è ordinato, preciso.
Attraversando i numerosi ambienti si percepisce la base di un progetto unitario, completo, ma si sente anche che la città non ha avuto vita. Sembra che l’insediamento non abbia avuto vita prospera per lo scarso approvvigionato di acqua, e che quindi l’utopico sogno di Akbar e della sua corte si sia dovuto trasferire a Lahore. Akbar, non era certo uno sprovveduto, si era fidato. La scelta del luogo fu dettata da un fatto importantissimo (ancora più della presenza d’acqua!), dall’incontro con il santo sufi Salim Chishti. Infatti il santo predisse all’imperatore, in questo luogo, la nascita di un figlio maschio, tale da poter proseguire la sua dinastia. Sembra che il grande Akbar, avesse dei problemi, in quanto a figli maschi… eppure di mogli ne aveva! Una per ogni credo: induista, mussulmana, cattolica… giusto per non mettersi contro nessuna santità e tenere nel quieto vivere tutte le popolazioni. Avverandosi la profezia, Akbar ritenette di non lasciarsi sfuggire l’occasione di stare vicino al profeta, quindi trasferì tutta la corte con le sue numerose mogli nel luogo dove fece erigere la città di Fatehpur Sikri, la città della vittoria.
Purtroppo questo ferragosto ha un sole senza forza, c’è foschia da afa, le foto non rendono, gli edifici non staccano tra di loro, la pietra rossa tace. Fino alle stalle, gli ultimi ambienti, i più insignificanti allora, ma oggi, gli unici che vivon di chiaroscuro.
• Agra
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