Diario di viaggio.


la moschea del Taj Mahal, inserito originariamente da Sonia Squilloni.

Chiunque sarebbe appagato di cotanto splendore, chiunque tranne un’ingorda di emozioni come me.
Ai lati del Taj Mahal due edifici gemelli.
Quello alla sua destra è una moschea, ed io adoro le moschee, che forse l’ho forse già detto?
L’ho appurato lo scorso anno ad Istanbul. Il senso di spiritualità di questo luogo di culto è unico.
Non c’è chiesa che abbia saputo restituirmi come le poche moschee che ho visitato in vita mia. Non Santa Croce, nemmeno la Basilica d’Assisi, hanno saputo comunicarmi un così tanto, così di profondo, senso di etereo e spirituale, un contatto con l’energia superiore.
Non sono in grado di spiegare a parole il motivo, ci provo arrancando una causa nelle forme delle nostre chiese, spesso austere, distante e avvolte timore e nella soggezione che creano sul fedele.
La moschea ti accoglie, ti fa mette comodo, non ti lascia solo con la tua colpa, la ripartisce sulla collettività.
Spiegare le sensazioni è un po’ forzarle.

Ci leviamo le scarpe e percorriamo scalzi il pavimento ustionante fino al marmo fresco dell’interno. L’ivan d’ingresso ci accoglie e ci lascia godere della preghiera delle ore 14. Davanti a noi, uomini in fila uno accanto all’altro, si lasciano guardare, assorti profondamente nelle loro preghiere. Diversi tra loro, ma fratelli in quel momento.
Un piccione sbatte le ali davanti alla mia immagine e ci porta nel presente, in fuga, con un quarto d’ora abbondante di ritardo rispetto all’appuntamento con il resto del gruppo.