Mercoledì 15 ottobre
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La Tigre Bianca ha vinto il Man Booker Prize

La Tigre Bianca di Aravind Adiga ha vinto il Man Booker Prize 2008.

Michael Portillo, presidente della giuria del Premio, ha dichiarato:

«I giudici si sono trovati di fronte a una decisione difficile perché la lista dei finalisti conteneva candidati fortissimi. Alla fine La Tigre Bianca ha prevalso perché i giudici hanno ritenuto che il libro fosse in egual misura scioccante e divertente. Il romanzo si prefigge lo scopo straordinariamente difficile di vincere e mantenere la simpatia del lettore per un delinquente matricolato. Il libro ha il merito di affrontare pressanti problemi sociali e significativi sviluppi globali con un senso dell'umorismo sorprendente. Un romanzo di enormi meriti letterari».

***

«Un romanzo che ti tiene attaccato fino all'ultima pagina, per il ritmo della narrazione e la scrittura essenziale».

L'espresso

«Un narratore meraviglioso, che riesce a rendere perfettamente i dettagli senza perdere di vista l'insieme».

Frankfurter Allgemeine Zeitung

«Tagliente, amaro, sardonico, fastidioso e terribilmente appetitoso, un nuovo samosa molto piccante. I pochi fortunati della classe media faranno bene a leggerlo, se non altro per farsi un'idea di cosa pensano di loro gli altri 700 milioni di indiani».

The Times of India

«L'esordio dell'anno».

The Sunday Times

***

Aravind Adiga
La Tigre Bianca

Traduzione di Norman Gobetti
Supercoralli
pp. 236, • 19,00

Nato poverissimo in un villaggio dell'interno dell'India, Balram Halwai, la Tigre Bianca, ha l'occasione di evadere dalla gabbia della miseria quando un ricco possidente lo assume come autista. Accompagnare il padrone sulla strada di un'inarrestabile corruzione, vedere da vicino il lusso sfrenato in cui vivono i ricchi, libera Balram da ogni scrupolo morale e lo trasforma prima in un omicida in fuga e poi in un brillante uomo d'affari.



Seduto alla sua scrivania, l'imprenditore autodidatta Balram Halwai, detto la Tigre Bianca, scrive sette lucide e impietose lettere al primo ministro cinese che si appresta a visitare l'India. Gli racconta delle proprie origini e della propria storia: la storia di un ragazzo di una delle caste più basse che da un fangoso villaggio all'interno del paese (dove «ogni buona notizia si tramuta in una cattiva notizia, e in fretta») arriva a New Delhi, dove mall luccicanti, sontuosi palazzi e auto tirate a lucido da magri autisti in ciabatte si accostano a bordelli di lusso con bionde prostitute dell'Europa dell'est. Qui, nel nuovissimo quartiere di Gurgaon, Balram Halwai assiste alla progressiva e inarrestabile corruzione del suo padrone, ne assimila la mentalità e intuisce che il modo per fuggire dalla gabbia della miseria esiste: commettere un omicidio, rubare e mettersi in proprio. Grazie a un duro lavoro, a pasti trangugiati in fretta, a un codice morale dettato dalle necessità produttive, ma soprattutto applicando le auree regole degli affari apprese da Mr Ashok, il suo defunto ex principale, il successo non tarda ad arrivare. Per il futuro si vedrà: forse potrebbe investire parte del proprio capitale in una scuola per i bambini poveri di Bangalore: una scuola piena di Tigri Bianche, in cui non si parli né di Gandhi, né dei 36 milioni di divinità indiane.
Con questo suo primo romanzo, Aravind Adiga ci conduce dietro le quinte dell'India odierna, la «shining India» della new economy e delle nuovissime tecnologie, della crescita economica vertiginosa, del consumismo sfrenato di pochi, descrivendo con durezza e sarcasmo i bui retroscena, materiali e morali, di tanto scintillio.


«Avvincente, rabbioso e intriso di un truce umorismo, La Tigre Bianca è un viaggio sorprendente attraverso un'India nuova. E Aravind Adiga è un talento che converrà tenere d'occhio».
Mohsin Hamid, autore de Il fondamentalista riluttante


Aravind Adiga è nato a Madras nel 1974. Dopo avere soggiornato in vari paesi - fra cui l'Australia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti - attualmente vive a Mumbai. La Tigre Bianca è il suo primo romanzo.




L'inizio di La Tigre Bianca:




La prima notte










Per la scrivania di:
Sua Eccellenza Wen Jiabao,
Ufficio del Primo Ministro,
Pechino,
Capitale della Cina, Nazione Amante della Libertà
Dalla scrivania di:
«La Tigre Bianca»
Un Uomo Pensante
E un imprenditore
Residente nel centro mondiale della tecnologia
e dell'outsourcing
Electronics City Phase 1 (accanto a Hosur Main Road)
Bangalore, India.


Signor primo ministro,
Signore.
L'inglese non è la mia lingua, e neppure la sua, ma ci sono cose che possono essere dette solo in inglese. Pinky Madam, l'ex moglie del mio defunto ex datore di lavoro Mr Ashok, mi ha insegnato una di queste cose; e oggi alle 23.32, circa dieci minuti fa, quando l'annunciatrice su All India Radio ha dichiarato: - La prossima settimana il primo ministro Jiabao verrà a Bangalore, - io ho detto quella cosa.
In effetti la dico ogni volta che uno di voi grandi uomini viene in visita nel nostro paese. Non che abbia niente contro i grandi uomini. A modo mio, signore, mi considero anch'io uno di voi. Però quando vedo il nostro primo ministro e i suoi illustri tirapiedi che arrivano all'aeroporto a bordo delle loro auto nere e scendono davanti a una telecamera e vi fanno namaste e vi spiegano quant'è santa e morale l'India, a me viene da dire quella cosa in inglese.
La settimana prossima sarà Sua Eccellenza a venire in visita da noi, vero? Di solito su queste cose All India Radio è affidabile.
Era una battuta, signore.
Ah!
Ecco perché voglio chiedere direttamente a lei se viene davvero a Bangalore. Perché se è così, ho una cosa importante da dirle. Vede, la signora alla radio ha detto: - Il signor Jiabao è in missione: intende scoprire la verità su Bangalore.
Mi si è gelato il sangue. Se c'è qualcuno che sa la verità su Bangalore, quello sono io.
Poi l'annunciatrice ha detto: - Il signor Jiabao intende incontrare alcuni imprenditori indiani e ascoltare la storia del loro successo dalle loro labbra.
Quindi ha spiegato due o tre cose. A quanto pare, signore, voi cinesi siete da ogni punto di vista molto più avanti di noi, eccetto che non avete imprenditori. Mentre la nostra nazione, per quanto carente d'acqua potabile, elettricità, fognature, trasporti pubblici, senso dell'igiene, disciplina, cortesia o puntualità, ha imprenditori. Migliaia e migliaia di imprenditori. Soprattutto in campo tecnologico. E questi imprenditori - imprenditori come me - hanno messo in piedi tutte queste società di outsourcing che attualmente fanno andare avanti l'America.
Lei spera di scoprire come trasformare un po' di cinesi in imprenditori, è questa la ragione della sua visita. La cosa mi è piaciuta. Poi però mi è venuto in mente che, in ottemperanza al protocollo internazionale, il primo ministro e il ministro degli esteri del mio paese la accoglieranno all'aeroporto con ghirlande, statuette di Gandhi in legno di sandalo e una brochure piena di informazioni sul passato, il presente e il futuro dell'India.
Ed è stato in quel momento che ho dovuto dire quella cosa in inglese, signore. Forte e chiara.
Erano le 23.37. Cinque minuti fa.
Io non impreco e non bestemmio. Sono un uomo d'azione e di cambiamento. Ho deciso all'istante di dettare una lettera per lei.
Per cominciare, mi permetta di esprimerle la mia profonda ammirazione per l'antica nazione cinese.
Ho letto un libro sulla vostra storia, Storie eccitanti dall'Oriente esotico, un libro trovato in una bancarella nei giorni in cui cercavo qualche illuminazione rovistando nel mercatino domenicale dei libri usati a Delhi. Quel libro parlava più che altro dei pirati e dell'oro di Hong Kong, ma conteneva anche qualche utile informazione generale: diceva che voi cinesi siete grandi amanti della libertà e dell'autodeterminazione individuale. Gli inglesi hanno cercato di rendervi loro servi, ma voi non gliel'avete permesso. Io questo lo ammiro, signor primo ministro.
Vede, anch'io un tempo sono stato un servo.
Solo tre nazioni non si sono mai lasciate governare dagli stranieri: Cina, Afghanistan e Abissinia. E sono le uniche tre nazioni che ammiro.
In segno del mio rispetto per l'amore della libertà mostrato dal popolo cinese, e anche della consapevolezza che il futuro del mondo è affidato ai gialli e ai marroni adesso che i nostri ex padroni, i bianchi, stanno precipitando nell'abisso della sodomia, della tossicodipendenza e dell'abuso di telefonia mobile, le offro gratuitamente la verità su Bangalore.
Raccontandole la storia della mia vita.
Vede, quando lei arriva a Bangalore e si ferma a un semaforo rosso, si avvicina sempre qualche ragazzino che bussa sul vetro sventolando una copia pirata di un libro americano di business, accuratamente avvolto nel cellophane e con titoli come:
DIECI SEGRETI PER AVERE SUCCESSO NEL BUSINESS!
oppure
DIVENTA IMPRENDITORE IN SETTE GIORNI!
Non butti via i suoi soldi con questi libri americani. Sono talmente out.
Il futuro sono io.
In termini di istruzione formale forse sono un po' carente. Non ho mai finito la scuola, a dirla tutta. Che importa! Non ho letto molti libri, ma ho letto tutti quelli che contano. Conosco a memoria le opere dei quattro maggiori poeti di tutti i tempi: Rumi, Iqbal, Mirza Ghalib e un quarto di cui non ricordo il nome. Rientro nella schiera degli imprenditori autodidatti.
E sono i migliori, mi creda.
Quando avrà sentito la storia di come sono arrivato a Bangalore e sono diventato uno degli uomini d'affari di maggior successo della città (anche se probabilmente uno dei meno noti), saprà tutto quel che c'è da sapere di come l'imprenditoria nasce, viene coltivata e giunge a maturità in questo glorioso ventunesimo secolo dell'umanità.
O meglio, dell'umanità gialla e marrone.
Lei e me.
Manca poco a mezzanotte, Mr Jiabao. Il momento adatto per fare due chiacchiere.
Sto alzato tutta la notte, Eccellenza. E nel mio ufficio di quindici metri quadri non c'è nessun altro. Solo io e un lampadario sopra di me, anche se questo lampadario ha una sua personalità. È un oggetto enorme, pieno di pezzetti di vetro a forma di diamante, come quelli che si vedono nei film degli anni Settanta. Anche se di notte a Bangalore fa abbastanza fresco, ho sistemato sopra il lampadario un minuscolo ventilatore - cinque pale a retina. Così, quando il ventilatore gira, le piccole pale scompongono la luce del lampadario facendola sfarfallare in tutta la stanza. Esattamente come le stroboscopiche nelle discoteche alla moda di Bangalore.
In tutta Bangalore, questo è l'unico spazio di quindici metri quadri dotato di lampadario! Ma è pur sempre un buco nel muro, e io ci passo tutta la notte.
La maledizione dell'imprenditore: badare agli affari ventiquattr'ore su ventiquattro.
Adesso sto per accendere il miniventilatore, in modo da far vorticare la luce del lampadario in tutta la stanza.
Sono rilassato, signore, e spero lo stesso di lei.
Dunque cominciamo.
Prima però, signore, la frase in inglese che ho imparato da Pinky Madam, l'ex moglie del mio defunto ex datore di lavoro Mr Ashok, è:
What a fucking joke.


*



Adesso, per principio, non guardo più i film hindi, ma quando ancora li guardavo prima dell'inizio del film o lampeggiava sullo schermo nero il numero 786 - per i musulmani è un numero magico che rappresenta il loro dio - oppure si vedeva l'immagine di una donna in sari bianco con ai piedi una cascata di sovrane d'oro, e cioè la dea Lakshmi degli indù.
È un antico e venerabile costume del popolo del mio paese cominciare le storie rivolgendo una preghiera a una Potenza Suprema.
Forse, Eccellenza, anch'io dovrei cominciare baciando il culo a qualche dio.
Però il culo di quale dio? C'è l'imbarazzo della scelta.
Vede, i musulmani hanno un solo dio.
I cristiani hanno tre dei.
E noi indù ne abbiamo 36 000 000.
Per un totale di 36 000 004 culi divini fra cui scegliere.
Ora, secondo alcune persone, e non solo comunisti come lei ma uomini pensanti di tutti i partiti politici, non molti di questi dei esistono davvero. Secondo alcuni non ne esiste nessuno. Soltanto noialtri e l'oceano di tenebre che ci circonda. Io non sono né un filosofo né un poeta, come posso conoscere la verità? È vero che tutti questi dei non sembrano darsi granché da fare - più o meno come i nostri politici - eppure anno dopo anno continuano a vincere le elezioni per i loro troni celesti. Il che non significa che io non li rispetti, signor primo ministro! Non permetta a quest'idea blasfema di far breccia nella sua testa gialla. Nei paesi come il mio conviene tenere il piede in due staffe: l'imprenditore indiano dev'essere allo stesso tempo onesto e corrotto, cinico e devoto, scaltro e sincero.
Perciò chiudo gli occhi, congiungo le mani in un reverente namaste e prego gli dei di far risplendere la luce sulla mia storia tenebrosa.
Abbia pazienza, Mr Jiabao. Potrebbe richiedere parecchio tempo.
Quanto ci metterebbe lei a baciare 36 000 004 culi?


*



Ecco fatto.
Ho riaperto gli occhi.
23.52. È ora di cominciare.
Un'avvertenza obbligatoria, come scrivono sui pacchetti di sigarette, prima di partire.
Un giorno, mentre portavo in giro Pinky Madam e il mio ex datore di lavoro Mr Ashok nella loro Honda City, Mr Ashok mi posò una mano sulla spalla e mi disse: - Accosta -. Feci come mi aveva detto e lui si sporse in avanti, così vicino che sentivo l'odore del suo dopobarba, quel giorno una deliziosa fragranza fruttata, e con la sua abituale cortesia mi disse: - Balram, devo farti qualche domanda.
- Sissignore, - dissi io.
- Balram, - mi chiese Mr Ashok, - quanti pianeti ci sono in cielo?
Risposi meglio che potevo.
- Balram, chi fu il primo primo ministro dell'India?
Poi: - Balram, qual è la differenza fra un indù e un musulmano?
Poi: - Come si chiama il nostro continente?
Infine tornò ad appoggiarsi allo schienale e chiese a Pinky Madam: - Hai sentito come ha risposto?
- Stava scherzando? - chiese lei, e il cuore prese a battermi più forte, come ogni volta che diceva qualcosa.
- No. È davvero convinto che siano le risposte giuste.
A quelle parole Pinky Madam ridacchiò: ma la faccia di lui, che vedevo riflessa nello specchietto retrovisore, era seria.
- Il fatto è che probabilmente non è andato a scuola più di∑ due o tre anni. Sa leggere e scrivere, ma non capisce quel che legge. È cotto a metà. Credimi, questo paese è pieno di gente come lui. E a tali personaggi, - e mi indicò col dito, - affidiamo la nostra gloriosa democrazia parlamentare. È questa la vera tragedia del nostro paese.
Sospirò.
- Okay, Balram, rimetti in moto.
Quella sera, nel mio letto al riparo della zanzariera, ripensai alle sue parole. Aveva ragione, signore∑ Non mi era piaciuto come aveva parlato di me, però aveva ragione.
Autobiografia di un indiano cotto a metà, ecco come dovrebbe intitolarsi la storia della mia vita.
Io e mille altri come me siamo cotti a metà perché non ci è stato permesso di finire la scuola. Apriteci il cranio, guardateci dentro con una torcia elettrica e troverete una mostruosa accozzaglia di idee: nozioni di storia e di matematica rimaste nella memoria (mi creda, nessuno ricorda quel che ha studiato meglio di un bambino tolto troppo presto da scuola), frasi sulla politica lette sui quotidiani durante interminabili attese in questo o quell'ufficio, triangoli e piramidi visti sulle pagine strappate da vecchi libri di geometria che ogni bar di questo paese usa per avvolgerci gli spuntini, frammenti di notiziari di All India Radio, cose che ci cascano nella mente come le lucertole dal soffitto nella mezz'ora prima di addormentarci - tutte queste idee, formate a metà e digerite a metà e giuste a metà, si mescolano nella nostra testa con altre idee cucinate a metà, e in tale promiscuità si riproducono, generando altre idee formate a metà, con cui poi ci tocca convivere e su cui finiamo per fare affidamento.
La storia della mia educazione è la storia di come si produce un uomo cotto a metà.
Però attenzione, signor primo ministro! Dopo dodici anni di scuola e tre di università le persone istruite indossano abiti eleganti, vengono assunte da ditte importanti e per il resto della vita prendono ordini da altri uomini.
La creta di cui sono fatti gli imprenditori è cotta a metà.


*



Per fornirle i dati essenziali sul mio conto - origini, altezza, peso, deviazioni sessuali note, ecc. - non c'è niente di meglio di quel manifesto. Quello della polizia.
Mi sono definito come uno degli imprenditori meno noti di Bangalore, ma non è del tutto corretto. Circa tre anni fa, quando per breve tempo acquistai notorietà nazionale in seguito a una mossa imprenditoriale da me compiuta, un manifesto con la mia faccia fece la sua comparsa in ogni ufficio postale, stazione ferroviaria e commissariato di questo paese. All'epoca un sacco di persone videro la mia faccia e il mio nome. Non possiedo una copia dell'originale cartaceo, però l'ho scannerizzato sul mio Macintosh portatile argentato - l'ho comprato online da un centro commerciale di Singapore e funziona che è una favola - e se ha un secondo di pazienza, accendo il computer, visualizzo il manifesto e leggo direttamente da lì...
Ma prima una parola sul manifesto originale. Lo vidi in una stazione ferroviaria a Hyderabad, nel periodo in cui viaggiavo senza bagagli, eccetto una borsa rossa molto pesante, e stavo andando da Delhi a Bangalore. L'originale l'ho tenuto qui in quest'ufficio, nel cassetto della scrivania, per più di un anno. Un giorno ho sorpreso il ragazzo delle pulizie che frugava fra la mia roba. Per poco non l'ha trovato. Non sono un uomo sentimentale, Mr Jiabao, un imprenditore non può permetterselo. Perciò l'ho buttato via, ma prima mi sono fatto insegnare a usare lo scanner - e lei sa che noi indiani sguazziamo nella tecnologia come pesci nell'acqua. C'è voluta un'ora, forse due. Io sono un uomo d'azione, signore. Eccolo qui, sullo schermo di fronte a me:
RICHIESTA DI COLLABORAZIONE NELLA RICERCA DI PERSONA SCOMPARSA
Si informa la cittadinanza che l'uomo nella fotografia, Balram Halwai alias MUNNA figlio del conducente di risciò Vikram Halwai, è ricercato per accertamenti. Età: fra i 25 e i 35 anni. Carnagione: nerastra. Faccia: ovale. Altezza: circa 1 metro e 65. Costituzione: minuto e magro.
Be', non è più esattamente così, signore. Il dato relativo alla «faccia nerastra»è tuttora valido - anche se ho una mezza idea di provare una di quelle creme sbiancanti per la pelle lanciate di recente in modo che gli uomini indiani possano sembrare un po' più occidentali - ma il resto, ahimè, è completamente fuorviante. A Bangalore si vive bene: cibo a sazietà, birra, locali notturni, perciò che posso dire? «Minuto» e «magro»! Adesso sono in forma migliore. «Grasso»e «panciuto» sarebbe più esatto.
Ma passiamo oltre, non abbiamo tutta la notte. Meglio spiegare subito il dato successivo:
Balram Halwai alias Munna...
Vede, il primo giorno di scuola l'insegnante fece mettere in fila davanti alla cattedra tutti i bambini, uno a uno, in modo da segnarsi i nomi sul registro. Quando gli dissi come mi chiamavo, lui mi guardò a occhi sgranati:
- Munna? Ma non è un nome.
Aveva ragione: significa solo «ragazzo».
- Non ne ho altri, signore, - dissi io.
Era vero. Non mi avevano mai dato un nome.
- Tua madre non ti ha dato un nome?
- È molto malata, signore. Sta sempre a letto e sputa sangue. Non ha tempo di darmi un nome.
- E tuo padre?
- Lui è un conducente di risciò, signore. Anche lui non ha tempo.
- Non hai una nonna? Qualche zia? O zio?
- Anche loro non hanno tempo.
L'insegnante si girò dall'altra parte e sputò, uno schizzo rosso di paan sul pavimento della classe. Si passò la lingua sulle labbra.
- Be', allora a quanto pare tocca a me -. Si passò una mano fra i capelli e disse: - Ti chiameremo... Ram. Aspetta, non c'è già un Ram in questa classe? Meglio evitare confusioni. Facciamo Balram. Lo sai vero, chi era Balram?
- Nossignore.
- Era l'aiutante del dio Krishna. Lo sai come mi chiamo io?
- Nossignore.
Rise. - Krishna.
Quel giorno quando arrivai a casa dissi a mio padre che il maestro mi aveva dato un nuovo nome. Lui fece spallucce. - Se piace a lui, ti chiameremo così.
Così da quel momento fui Balram. In seguito naturalmente mi presi un terzo nome. Ma ci arriveremo.