Diario di viaggio.
















Dalla strada svettano le gradinate, altissime.
Ghirlande di fiori a terra, accattoni, menticani e storpi.
Sadhu vestiti d’arancioni, allora esistono davvero!
Ci arrampichiamo.

Arrivati in alto, il tempio, Jagdish Mandir, dedicato a Vishnu. Ci leviamo le scarpe ed entriamo a piedi nudi. Lo spazio è uno stretto cortile che a malapena contiene l’edificio del tempio, al quale si accede attraverso un’altra gradinata meno ripida ed affollata di drappi colorati che salgono e scendono. Di fronte, un tabernacolo con una statua di Garuda, la divinità metà uomo e metà aquila che è il veicolo di Vishnu.
La guida ci spiega che oggi è il giorno di Ekadasi, 11 giorni dalla luna piena e le donne praticano una sorta di rito con digiuno per cui, adesso sono radunate nella sala principale a cantare. Saliamo la gradina, è la prima volta che entro in un tempio hindu. Sbarchiamo in un ampio sala circolare, il mandapa, circumnavighiamo il movimentato mare di drappi e canti, volti e sorrisi e mi commuovo.
Sento energia. Arriviamo davanti alla cella con l’immagine nera di Jagannat, lasciamo una piccola offerta, il bramino ci benedice e con dolore lascio la sala. Mi sarei voluta mettere anch’io a gambe incrociate a cantare quei suoni incomprensibili. Scendiamo e giriamo l’edificio in senso inverso. La decorazione scultorea è rigogliosa, sembra che il clima tropicale influenzi non solo la vegetazione ma anche la pietra, prolifica in mille figure di elefanti, ninfe, musici e personaggi strani. Poi arriva anche la luce, colpi di sole illuminano strisce di pietra. Stupendo! Ci facciamo anche il segno del terzo occhio, del passaggio al tempio e con questo io oggi sono più che apposto. Nell’euforia di questa prima emozione mi sono anche lasciata andare a atteggiamenti da giapponese, io in posa con alcune signore. Già.