Diario di viaggio.

foto sonia squilloni


Partiamo con l’intenzione di trovare un mercato, ci facciamo portare in centro con i “tuc tuc”. Capisco perché hanno così tante divinità gli hindù, una per ogni giro nel traffico, ci voglion tante raccomandazioni.

Quì la folla di motorini, api e bici è veramente feroce, incazzata calza a pennello. In gruppo diventa impossibile muoversi e l’indugio al bordo della strada diventa pericoloso. “Buttarsi, avanti adesso, tutti insieme!” Incito al suicidio di gruppo e penso alla mia amica Veronica, sarebbe morta prima di attraversare, altro che ponte Galata ad Istanbul!

Troviamo rifugio in un mercato dove i mezzi non entrano, oddio, diciamo che non viaggiano. Slalom tra i parcheggi e “teniamo a mente dei punti perché da questo labirinto non usciamo”. Paranoia da pollicino. Non devono essere abituati agli stranieri, e nemmeno interessati. Nessuno ci ha proferito niente, nessuno ha intenzione di venderci merce. Ci sono diversi scorci interessanti, uomini intenti a cucire a macchina, grassi commercianti a bivacco, colarate donne a scegliere stoffe. Cucire a macchina da noi è considerato un lavoro da donna. Qui, a quanto pare, no; si concentrano diverse macchine e lavorano in compagnia, ridendo e scherzando.

Io sono assai preoccupata di perdermi in questo labirinto di colori. Prima di uscire da dove siamo entrati, ci affacciamo in un negozio dall’aria più europea. Sulla porta mi avvicina un ragazzino con una sporta gialla che strilla
-“Naga, naga, pissipissibaubau, naga, naga”.
Ci penso un po’, accanto a me ho qualcuno del gruppo, non ricordo chi. Naga, eppure mi suona familiare… poi arriva anche il compare del ragazzino, che posa il sacchetto a terra e tira fuori un piffero fatto con una zucca, ed inizia a suona. Naga. Piffero. La busta a terra si muove… bujanga-asana, il grande naga, già...
-“Ragazzi, io mi allontano… ”. Ho un vago presentimento. Sento strillare poi interviene il tipo del negozio, manda via il ragazzo. Si, vigliaccamente mi sono appartata, non ci tenevo a vedere da vicinissimo un cobra reale, il grande naga.
Ricomposti, un po’ scossi, affrontiamo il traffico oramai collaudati. Non compriamo niente, strano ma vero, nessuno ha intenzione di venderci qualcosa. All’autobus siamo accolti un gruppo di “gaga” indigeni, a pesca di turiste.

“Omini” uguali in tutto il mondo, qualche spicchio di ciccia in più fuori e chissà che pensano!

Rientriamo in albergo per il pranzo. Io e Daniela non abbiamo fame e intenzionate a fare un giro nel parco del Hotel Lallgarh Palace, manchiamo subito i nostri propositi accomodandoci sotto il primo grande albero visibile dall’ingresso. Giusto tre passi, quando la terra chiama, chiama! Tre parole, giusto tre, e autonomamente, e senza nemmeno averne parlato prima, ci mettiamo a fare yoga. Quando me ne accorgo siamo entrambe in aditi-asana, aditi significa libera, estesa, è la madre di tutti gli dei, colei che benedice la vita e la natura. Tributo dovuto. “Da quanto tempo fai yoga?”