Diario di viaggio.

Taj Mahal Canto d'Amore
Foto Sonia Squilloni

Già dall’ingresso si ha l’impressione d’ordine e pulizia. Un viale con prato all’inglese e portici laterali conduce ad un crocevia, dove tramite un monumentale ivan, portale d’accesso a 3 archi in arenaria rossa, si accede a una delle sette meraviglie del mondo. Tra di noi si è creato un forte senso di attesa, fomentato anche da un certo scetticismo. Procediamo: prima sala d’ingresso, pur con la ventilazione e l’ombra c’è cattivo odore, cerco di trattenere lo sguardo, che però fugge, oltre l’oscurità del male odarante preambolo verso il candore del monumento, il monumento all’Amore.
Mentirei a dire che questa frenesia fosse genuinamente prodotta da sane aspettative sull’opera. Rispecchiando quella che è la mia indole - che mal si fida degli entusiasmi altrui, sempre pronta a difendermi da eccessive aspettative - non confidavo che l’opera fosse all’altezza delle descrizioni. Massimo la descriveva come “su di un altro livello” rispetto a quello che avevamo già visto, Susanna mi aveva addirittura confidato che vi si respirava “l’amore”. Senza togliere nulla alle loro opinioni, le consideravo esagerate, o diciamo forse, che avevo paura di crederci… quale luogo respira o fa respirare? Sarà, pensavo, un candido pezzettone di marmo, geometricamente ben distribuito, armonioso nelle proporzioni, teatralmente disposto a far palpitare il cuore di entusiasti viaggiatori.

Ebbene, sbagliavo!
E se sbagliavo!
foto flick

Ma questo, lo si percepisce solo dentro, quando spogli di ogni prevenuta concezione – alla quale ha già contribuito il lungo percorso nel paradisiaco giardino che lo precede – si è condotti in alto, all’interno del suo cuore.
Il cuore di Shan Jahan, l’imperatore che lo fece costruire per la moglie morta di parto al quattordicesimo figlio (quattordicesimo!). Dentro la sala circolare è magica nella sua ombra. Circumnavighi l’alto parapetto di jali (corsivo) che proteggono le tombe e ti viene voglia di cantare, voglia di sentire delle voci femminili litaniche e melodiose. Non ho ascoltato una parola di quello che diceva la nostra guida.
Ho seguito ed intonato i versi che mi arrivavano da lontano, sorridendo agli spiragli di sole che mordevano il fresco dell’interno dalle fenditure perimetrali. Non ha senso per un fiorentino ammirare il marmo di Carrara o le decorazioni preziose intagliate di pietre dure.
Ha senso, a mio presuntuoso parere, sentire, gustare e lasciarsi coccolare da quel canto d’amore che l’imperatore ha lasciato suonare per sempre alla sua amata.
Questo è il Taj Mahal, questo rimarrà nel mio cuore.

Dovrebbero proibire l’accesso ai diabetici per così tanta dolcezza oppure allegare alla dotazione del mezzo litro d’acqua una dose appropriata di insulina.